Prima di poter iniziare a parlare di un ipotetico progetto educativo sull’Educazione Sessuale tra portatori di handicap, bisognerebbe poter capire il MISTERO, la paura e la “POESIA” di questo argomento.

MISTERO sta ad indicare che spesso la sessualità delle persone portatrici di handicap è avvolta da una fitta ed “artificiale”nebbia che non permette di “vedere” e di “affrontare” difficoltà che, il più delle volte, si trasformano in paura, soprattutto quando la sessualità emerge e si manifesta.

Ed infine POESIA nel senso un pò romantico della parola intendendo, per i disabili più gravi, un’importante modalità di comunicazione delle proprie emozioni, per quelli meno gravi, un sogno che, ad oggi, per una minoranza si è tradotto in realtà.

Un tema molto complesso che però ci attrae anche perchè fa parte della dimensione di ciascuna persona, infatti sappiamo quanto è importante per lo sviluppo di ogni essere umano.

Gli studi della psicologia lo hanno dimostrato in modi diversi: è un tema delicato, perchè ancora oggi per molti è vissuto come un blocco psichico. Certo, forse alcuni passi importanti nei nostri ambienti sono stati fatti negli ultimi anni, soprattutto nel cammino dell’educazione sessuale; passi sicuramente non ancora sufficienti, però, rispetto a qualche anno fa, dobbiamo constatare che si è iniziato nelle associazioni, si è iniziato negli oratori, si è iniziato nelle famiglie a parlare di sesso.

Difficile poter tracciare un iter storico al riguardo, ma se pensiamo che siamo passati da una fase in cui la sessualità della persona handicappata era quasi negata, non esistente, a una fase in cui essa è riconosciuta; e se allora era un problema da gestire, oggi diventa un elemento importante nella preparazione degli educatori e di si rapporterà alle persone handicappate.

 

L’handicap e la sessualità a scuola

Bisognerebbe in primis dedicare particolare attenzione alle interazioni fra il bambino e la scuola: difficoltà del bambino a scuola e difficoltà della scuola con i bambini. Queste due dimensioni infatti devono essere messe necessariamente in prospettiva reciproca. In effetti, quando si affronta il capitolo dei disadattamenti tra scuola e il bambino si ritrovano ben presto due orientamenti, se non contraddittori almeno opposti. Da un lato, quello per il quale il bambino in difficoltà a scuola è un bambino deviante, quindi patologico o malato, quindi da “curare” in una struttura adatta.

All’opposto si situa l’orientamento per il quale la struttura scolastica è di per se stessa disadattata al bambino e quindi unica responsabile dell’insuccesso scolastico.

Per quanto concerne il problema dell’handicap, e in particolar modo la sessualità, è presente in ogni ordine di scuole: dalla scuola dell’infanzia, alla scuola dell’obbligo, ai gradi superiori, all’università. In ognuno di questi livelli il problema del portatore di handicap, sia esso un disabile motorio, mentale, linguistico, culturale o sociale, va inquadrato, esaminato e considerato in relazione alla tipologia della disabilità e alla richiesta della scuola.

La sfera emozionale affettiva riveste una notevole importanza nello sviluppo dell’individuo, soprattutto nelle fasi di vita della preadolescenza e dell’adolescenza, in cui il ragazzo e la ragazza cominciano a definire le proprie scelte personali e sociali. Il ruolo che l’educazione socio-affettiva può svolgere è quello di facilitare gli studenti ad acquisire conoscenza e consapevolezza delle emozioni proprie e degli altri, insieme alla valorizzazione delle proprie risorse di gestione della comunicazione interpersonale e di autentici rapporti con i pari e con gli adulti. Tale approccio consente un pieno sviluppo della capacità di apprendimento non solo cognitivo, di risoluzione di problemi, di capacità di compiere scelte adeguate e di essere protagonista del proprio percorso di vita, ma anche di apprendimento emotivo che consenta all’individuo di realizzarsi pienamente come adulto.

La fase di vita della preadolescenza e dell’adolescenza comprende anche lo sviluppo della dimensione sessuale, coinvolgendo diversi aspetti della personalità, che, andando al di là dell’identità corporea del soggetto, coinvolge l’identità psicologica e sociale della persona nei suoi rapporti con gli altri. In questa direzione, educare alla sessualità non vuol dire solo stimolare nel ragazzo una graduale presa di coscienza delle caratteristiche somatiche e fisiologiche proprie dei due sessi, ma soprattutto estendere tale consapevolezza agli aspetti psico-sociali che la sessualità coinvolge. In questa prospettiva, è quindi fondamentale fornire a preadolescenti e adolescenti anche portatori di handicap, la possibilità di confrontarsi e riflettere in un clima di fiducia e di ascolto reciproco attraverso l’educazione socio-affettiva.

 

Obiettivi misurabili:

  • Sensibilizzare docenti e genitori di fronte alle complesse questioni di carattere etico, deontologico, psicologico e sociale sollevate dalla sessualità dei disabili psichici che spesso ci spaventano, ci confondono, ci disorientano
  • Riflettere sulle difficoltà degli alunni con handicap che incontrano nell’uso della propria mente e che pongono spesso grosse limitazioni ad una soddisfacente espressione della loro sessualità
  • Non limitarsi ad identificare come presupposto fondamentale di ogni intervento educativo, rivolto ad un portatore di handicap, il solo principio di massima autonomia possibile, ma proporre attraverso l’educazione tutta la libertà e la vita che i limiti imposti dall’handicap possono ancora concedergli.

 

 

Finalità:

  • Trasmettere ai genitori che la loro paura non basta per negare un diritto ad un’altra persona, anche se handicappata. Utilizzando buoni interventi educativi rivolti ai docenti e ai genitori, che non devono proporsi di regolare un comportamento, ma piuttosto aiutare la persona a trovare i significati migliori per la propria vita ed esprimerli con modalità comportamentali che possano rappresentare per loro un’occasione di crescita anziché di disagio e di emarginazione.
  • Sensibilizzare gli operatori a non reprimere la sessualità degli alunni con handicap, ma educarli a sentire e a vivere la propria sessualità. E cominciare a sostenere l’idea che esistano molti modi possibili e diversi di parlare e di attribuire significato alla sessualità, per molti dei quali esistono sicuramente degli spazi importanti anche per persone che abbiano difficoltà significative con l’uso del pensiero e del ragionamento.
  • Educare i ragazzi a vivere la sessualità come occasione di crescita, avendo bisogno di una maggiore autonomia anche in ambito sessuale. Questo non significa accettare fatalisticamente l’eventualità che possano far del male a se stessi o alle altre persone, significa essere disposti ad accompagnarli e a sostenerli in un percorso di conoscenza, al termine del quale poter ragionevolmente prevedere “se e in che modo” decideranno di gestire lo spazio che abbiamo loro concesso. Pertanto bisognerebbe attuare corsi educativi, dove poter parlare della sessualità in modi diversi, che non esauriscano tutte le definizioni possibili, ma che aprano importanti prospettive.

Il primo modo e’ quello della biologia, sicuramente il più tradizionale e da un punto di vista biologico, la sessualità può essere definita come un programma finalizzato alla riproduzione. Ma se assumiamo questa prospettiva possiamo domandarci se la persona con handicap mentale abbia oppure no diritto ad avere una propria vita sessuale….

Il secondo modo potrebbe essere quello di parlare di sessualità, attraverso una forma davvero speciale per tutti gli esseri umani: la forma della conoscenza. La sessualità e’ un sistema per conoscersi, per conoscere se stessi e gli altri, così speciale che il pensiero ed il ragionamento non servono, anzi spesso rappresentano un ostacolo. Per chiarire questo concetto si potrebbe far uso della metafora “della carezza”. Per poterci incontrare noi uomini abbiamo bisogno di conoscere il codice di comunicazione che sta nella nostre mani o nelle mani della persona che ci sta accarezzando, il codice non verbale, ci consente di dire l’indicibile. In una carezza c’è dunque un oggetto bello da toccare, un luogo per incontrare un’altra persona, un codice per trasmettersi qualcosa che si ha voglia di comunicare o di sentire, ma è difficile mettere tutte queste cose in una carezza e gli handicappati tante volte non riescono, ma proviamo a pensare a quante volte non ci riusciamo noi…

Il terzo modo potrebbe essere quello di parlare di sessualità, attraverso la costruzione di una storia. In una prospettiva storica, le carezze diventano un modo di raccontarsi l’un l’altro, diventano gli strumenti di una narrazione che si nutre del passato, ma che e’ proiettata nel futuro: noi ci riconosciamo in ciò che abbiamo già raccontato e contemporaneamente manifestiamo il desideriamo di continuare la storia. E’ proprio questa la ragione per cui l’ elaborazione di una storia con una persona affettivamente significativa può aiutare un disabile a superare alcuni dei suoi limiti. Le carezze di un disabile possono essere un po’ goffe, maldestre, vincolate da tutti i limiti imposti dalla disabilità, ma possono diventare un racconto, uscire dalla consumazione di un piacere ed entrare nella dimensione evolutiva della sua vita per darle senso…