L’approccio strategico quando il paziente è un bambino o un adolescente prevede una modalità di lavoro del tutto originale: la terapia indiretta. Si ottengono, infatti, ottimi risultati lavorando con i genitori, che in questo caso diventeranno dei veri e propri “co-terapeuti”- in quanto  saranno loro, in prima persona, a mettere in pratica le indicazioni fornite dallo psicoterapeuta ed a proporre al figlio le prescrizioni che quest’ultimo ha individuato per loro. Spesso, l’azione indiretta della terapia – ovviamente se efficace – promuove un effetto benefico non soltanto sul paziente designato, ma anche sull’intero sistema familiare implicato. Non sono pochi i casi in cui si assiste ad una vera e propria ristrutturazione dei ruoli, delle dinamiche relazionali, delle modalità comunicative di un sistema che precedentemente manteneva (inconsapevolmente) il problema.

Detto ciò, occorre specificare che come già ampiamente dimostrato dalla letteratura, etichettare una persona con una diagnosi più o meno precisa, significa strutturare il sistema ed i loro membri secondo modalità ancor più allineate a tale etichetta. La terapia indiretta consente, quindi, di prevenire il rischio di sommare ad un problema già presente, l’etichetta diagnostica di una possibile patologia che anziché risolvere il problema lo potrebbe solo aggravare.