Parafrasando le parole tratte dal libro- Un urlo rosso sanguedel celebre scrittore Marilee Strong “Stavo in piedi nel bagno, mi guardavo allo specchio, ma non mi riconoscevo. Era la mia faccia quella che mi guardava ma la mia anima non c’era. Per me quello era solo un corpo e non sentivo di farne più parte. Sentivo di aver perso il controllo dei miei pensieri, delle mie azioni e delle mie emozioni. E quando perdi del tutto controllo, cosa ti resta? Vidi i rasoi che i miei tenevano nell’armadietto dei medicinali. Sembrava avere senso allora anche se non so esattamente perché. In seguito, più tagliavo e più capivo perché.” Alla base di racconti dai contenuti simili potremmo dire che le manifestazioni sintomatiche come le Condotte Autolesive non Suicidarie nel corso degli ultimi anni sono divenute molto diffuse, soprattutto in adolescenza… sintomatologie che debuttano, maggiormente, nella prima adolescenza.

 

Tagliarsi, bruciarsi, grattarsi fino a scorticarsi la pelle o graffiarsi fino a far uscire il sangue… sono solo alcuni esempi di quello che oggi sembra essere un fenomeno largamente e pericolosamente diffuso, una comunicazione silenziosa con se stessi… un modo per soffocare il DOLORE. Se ne parla sui social, su veri e propri blog dai nomi più suggestivi come “Diario di un autolesionista”; “Vita di un adolescente autolesionista”; “Inizi con un taglio, finisci con una dipendenza”; “mentre il sangue scorreva, il dolore se ne andava” etc e in taluni casi vengono anche pubblicati video dove ognuno mostra la propria ferita, tra mille dolori e preghiere di assoluzione. Non appaiono nomi o volti, il tutto è celato da nickname o immagini evocative… un grido disperato di aiuto con l’intento, forse, di condividere una sofferenza segreta.

 

Perché questi anni violenti?

 

Diverse fonti offrono differenti spiegazioni sulle cause dell’autolesionismo: dalla psicologia dello sviluppo con l’autoregolazione delle emozioni ( Tronick (2008), Beebe e Lachman (2003)ad un disturbo di personalità (DSM-5, 2013), fino a disfunzioni neurologiche. Senza addentrarsi nelle dinamiche assolutistiche che chiariscono cosa possa portare una persona a provocarsi delle ferite, ciò che posso affermare è  che la tragedia di questi individui è che sono più soli di tutti gli altri, perché esistono per quello che fanno non per quello che sono.

 

Appare fondamentale chiarire che i comportamenti autolesivi minori possono essere basati sul piacere o avere caratteristiche sedative e/o compensatorie:

 

  1. Autolesionismo come atto sedativo:L’intenzione principale della messa in atto del gesto è il fronteggiamento e la riduzione dell’emozione negativaovvero  ferirsi con lame o punte affilate, farsi delle ustioni, strapparsi la pelle o i peli, serve a sedare delle emozioni serve a dare un contenitore a tutta la sofferenza provata.

 

B.Autolesionismo come piacere: Secondo il senso comune è inimmaginabile arrivare a pensare che infliggersi ferite, tagliuzzarsi, procurarsi escoriazioni etc., siano modalità di comportamento compulsivo che producono un sottile piacere. E’ importante chiarire la formazione e l’evoluzione del comportamento autolesivo: originariamente l’autolesionarsi si connota come atto compensatorio e sedativo di un dolore emotivo, quando tale modalità diventa più frequente e protratta nel tempo, oltre a mantenere la caratteristica di atto compensatorio, diventa un brivido trasgressivo…una ricerca compulsiva di forti sensazioni.

 

Soluzioni o destino macchiato?

Il protocollo di intervento della Terapia Breve Strategica, distingue il trattamento in base alla percezione sottostante al comportamento autolesivo. Se basata sul piacere, l’obiettivo terapeutico è trasformare il rituale compulsivo da piacevole a sgradevole e, contemporaneamente, fare in modo che il sintomo perda la sua caratteristica di irrefrenabilità e perdita di controllo.
Quando il comportamento autolesivo è basato sul dolore, considerando la molteplicità delle possibili fonti di dolore, le indicazioni terapeutiche devono tenere in considerazione la specifica origine del dolore.

 

Vivere situazioni difficili proprie o di chi ci è vicino, costituisce una capacità fondamentale che è quella di saper ascoltare, accogliere, accettare il dolore e averne cura. Tagliarsi equivale al desiderio di liberarsi da un dolore. Nell’impossibilità di farlo completamente si cerca di trasformarlo nella forma di dolore più gestibilee controllabile. Le emozioni negative che non trovano forma in parola, trovano forma in segni e ferite…medicabili e curabili almeno per poco. Fino a quando le ombre nefaste, riappariranno.

 

<<Tagliarsi non è un modo per cercare attenzione. Non è una manipolazione. É un meccanismo per affrontare i problemi, punitivo, gradevole, potenzialmente pericoloso, ma efficace. Mi aiuta a sopportare le forti emozioni che non so come gestire. Non ditemi che sono malato, non ditemi di smettere. Non cercate di farmi sentire in colpa, mi accade già. Ascoltatemi, sostenetemi, aiutatemi.>>