Questa relazione vuole essere un momento di riflessione, di confronto e di condivisione per recuperare sensazioni, paure, emozioni: per descrivere, attraverso la scrittura, un’angoscia terribile e temibile come quella della sofferenza psichica nella malattia neoplastica. Sperando che il progetto di lavoro nato in questo modo si rinnovi nel tempo, cresca ogni giorno senza fermarsi in una definizione codificata e immobile.

Tra le diverse malattie che minacciano la vita, il cancro si pone come evento tra i più traumatici e stressanti col quale chi ne è colpito deve confrontarsi. Nonostante i progressi tecnologici in ambito oncologico, infatti, il vissuto soggettivo del cancro e l’interpretazione individuale e sociale di questa “brutale malattia”, restano quelli di un processo insidioso e incontrollabile che invade, trasforma e lentamente porta alla morte.

Nell’ambito della malattia neoplastica, le tematiche riguardanti il bambino e l’adolescente rivestono un ruolo particolare, poiché non sono riconducibili tout courta quelle dell’adulto, ma necessitano di attenzione specifica. Poche altre malattie hanno così lampanti conseguenze per la persona ammalata, minacciando o invadendo su tutte le dimensioni su cui si fonda l’unicità dell’essere umano come ad esempio la dimensione fisica, la dimensione psicologica, la dimensione spirituale ed esistenziale e infine la dimensione relazionale (tabella riassuntiva 1).

 

 

Tabella 1- Principali minacce collegate alle malattie neoplastiche

 

Identità individuale

  • Identità esistenziale (mortalità)
  • Identità somatica (immagine corporea)
  • Identità emozionale (stabilità affettiva)
  • Identità temporale (prospettiva nel futuro)

 

Identità sociale

  • Identità di ruolo familiare:

– relazioni familiari intime

– relazioni familiari allargate

  • Identità di ruolo sociale:

– relazioni sociali intime (rapporti interpersonali)

– relazioni sociali allargate (rapporti lavorativi e ambientali)

 

 

Il processo di malattia si pone dunque come un evento inatteso e sconosciuto che interrompe in maniera brusca il percorso di vita della persona e ne frammenta tutte le dimensioni sulle quali si basa l’esistenza umana (Grassi, Biondi, Costantini, 2003).

Il percorso che riguarda il passaggio dalla salute alla malattia è certamente articolato e difficile, ma soprattutto, non può essere compreso, nella sua essenza complessiva, in senso trasversale (quel paziente con quel problema in quel dato momento) bensì in senso longitudinale (quel paziente con la propria storia di salute e malattia). Lo stesso percorso di malattia-cancro è posto all’interno di un continuum che va dalla comparsa dei primi sintomi di sospetto alla guarigione o alla fase di terminalità (Holland, 1989).

Il tumore rappresenta oggi il prototipo mitimizzato della malattia mortale e determina un impatto emotivo singolare, senz’altro più forte e profondo di malattie similmente ad esito letale. La malattia oncologica in età evolutiva, per la sua incertezza prognostica costituisce ancora una situazione di crisi profonda, inaspettata e sconvolgente che innesca rilevanti modificazioni nella vita reale ed emotiva del paziente e del suo nucleo familiare.

La malattia tumorale, per le sue caratteristiche di gravità, precarietà, intollerabilità, determina nei bambini un impatto emotivo intenso, esplosivo fin dall’esordio, con alternanze successive di ricomposizione o di rottura, in rapporto all’andamento della terapia e all’insorgere di complicanze o ricadute. La crisi emotiva scatenata dall’esordio della malattia, infatti, si colloca proprio in un periodo di vita come la crescita, già in sé fisiologicamente “tappezzato” di momenti di crisi, e coinvolge in modo alquanto drammatica l’intero nucleo del microcosmo familiare, che sente fortemente minacciata la propria stabilità e tutto il suo intero ciclo vitale (Morasso, Tomamichel, 2005). Infatti i legami di attaccamento formati durante l’infanzia sono durevoli, emotivamente significativi e legati a persone specifiche. La loro funzione è garantire protezione e cura attraverso la ricerca della vicinanza del genitore. Precisamente nei primi anni di vita, in cui è determinante la qualità della relazione con i genitori, in particolare con la madre, possono prevalere aspetti persecutori legati alla valenza aggressiva delle cure mediche e infermieristiche e soprattutto al dolore provocato dagli effetti collaterali delle cure. La più recente teoria che ha dato un contributo fondamentale alla comprensione dei processi di attaccamento, di separazione e di perdita è quella formulata negli anni sessanta da John Bowlby (1969, 1973,1980). Egli concentra la sua attenzione sul legame che il bambino sviluppa durante l’infanzia con la madre che è un’importante figura di riferimento in quanto offre al bambino la sicurezza e la protezione di cui ha bisogno. L’attaccamento è infatti per Bowlby la tendenza dell’essere umano a strutturare solidi legami affettivi con particolari persone, la cui perdita determina molti turbamenti emotivi e, a volte, disturbi della personalità (Bowlby 1969;1973;1980). Il legame di attaccamento si riferisce quindi a quell’aspetto specifico della relazione fra adulto e bambino connesso con il mantenimento e la regolazione della sicurezza e della protezione. Per quanto concerne la diade madre-bambino la condizione è particolarmente critica perchè sottoposta allo sconvolgimento reale del “naturale rapporto”. Da un lato, avremo una madre angosciata, impotente, iperprotettiva, accecata dal suo bisogno di stare accanto al bambino per difenderlo da questa “paurosa esperienza”. Dall’altro lato, troveremo un bambino che crede fermamente che la malattia sia autoindotta, una punizione ben meritata per ogni sorta di cattiverie, di disobbedienze e di illecite pratiche fisiche e, questo, dovrebbe condurci a riflettere sul fatto che il bambino non sia all’oscuro o falsifichi quanto accade. Con l’insorgere della malattia si verificano importanti cambiamenti non solo nella relazione madre-bambino ma anche in tutta la famiglia, la famiglia come “sistema”, tracciato inestricabile, per lo sviluppo del bambino.

Lo sviluppo dei bambini ha luogo inevitabilmente in particolari ambienti e, per la grande maggioranza dei bambini, la famiglia è il primo e il più importante contesto per la crescita fisica e psichica.

Le famiglie sono l’ambito ideale per l’educazione dei bambini: sono gruppi piccoli e intimi, che facilitano ai bambini l’apprendimento di regole di comportamento coerenti; la famiglia quindi come unità di base (fig. A).

 

fig. A-la famiglia ed i suoi sottoinsiemi

 

 

Ma in molti casi ad esempio come quello del bambino ospedalizzato, le famiglie possono essere viste come sistemi aperti influenzati da eventi esterni. Il modo in cui si organizzano e funzionano è quindi determinato non solo dalle personalità dei singoli membri, dalle relazioni, da fattori quali l’età, il sesso, il tipo di patologia ma anche dall’impatto che gli avvenimenti del mondo esterno hanno su di esse, come l’ospedalizzazione (Schaffer, 1998).

Molti sono dunque le variabili che determinano il modo con cui la famiglia affronta gli eventi della malattia, e la conoscenza di alcuni fattori relativi alla struttura del nucleo familiare sono di conseguenza utili per capire e afferrare con migliori risultati gli atteggiamenti che la famiglia assume nella relazione col medico e con lo staff che si occupa del piccolo paziente (Kupst, 1993). Benchè risulta essere molto difficile generalizzare i parametri del disagio all’interno della famiglia, alcuni di questi aspetti sono riassunti in tabella 2.1.

 

 

 

Ogni famiglia articola e struttura nel corso della sua evoluzione le modalità di risposta agli eventi, le esperienze positive o negative maturate da ciascun membro nel corso del tempo e della convivenza.

Tutto questo definisce la storia della famiglia (Grassi, Biondi, Costantini, 2003). La famiglia è quindi un microcosmo con la propria storia, le proprie regole, i propri valori, i propri significati e un proprio processo evolutivo e/o involutivo. Pertanto nella storia emotiva individuale le relazioni intra familiari costituiscono una traccia significativa di rapporto e di legame forte dove si intrecciano sentimenti intensi con una connotazione prevalente oppure con caratteristiche conflittuali (Lovera, 1999). Quando il paziente è in età evolutiva, la condizione della famiglia è maggiormente critica. Per quanto riguarda i genitori, in primis occorre esaminare il sentimento di responsabilità, sempre presente, perchè intrecciato al loro ruolo generatore, che li pone in una posizione determinante rispetto al figlio. In secondo luogo è fondamentale saper riconoscere la profonda differenza tra questa tematica radicata nella posizione genitoriale e il sentimento di colpa, in rapporto a precedenti trascuratezze o ad atteggiamenti di ostilità e/o rifiuto verso il bambino.